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GIUSEPPE CHELLI, UNA VITTIMA DELLA MEMORIA

L'amico Francesco Fiumalbi, contitolare del sito http://smartarc.blogspot.it/ ci invia e autorizza a pubblicare questo articolo scritto da Giuseppe Chelli in relazione all'articoli di Claudio Biscarini pubblicato ieri  https://www.dellastoriadempoli.it/?p=11723 .   L’appassionato e competente intervento di Claudio Biscarini, a pochi giorni dalle…

Claudio Biscarini: San Miniato, 22 luglio 1944

La Cattedrale di Santa Maria Assunta e di San Genesio.

Domenica prossima ricorderemo il 68° anniversario della strage nella Cattedrale di Santa Maria Assunta e di San Genesio di San Miniato. Certamente, nonostante la pubblicazione di un documento che riteniamo risolutivo nel volumetto La Prova, non mancano ancora i “nostalgici” di spiegazioni diverse da quella della granata da 105 mm americana, entrata per puro caso attraverso il semirosone del braccio meridionale del transetto ed esplosa nella navata destra della chiesa. Cerchiamo, quindi, per l’ennesima volta di prevenire questi “nostalgici” e analizziamo i fatti partendo dal documento americano. Perché diciamo che è risolutivo? Due sono le cose che si leggono in quelle scarne righe che ne fanno un testo importantissimo che si accodano ad altre. Primo: il documento è coevo e non ha subito manipolazioni successive in quanto serviva solo per annotare fasi tecniche dell’impiego degli obici del 337th US Field Artillery. Per questo siamo stati in grado non solo di stabilire con assoluta esattezza l’ora dell’inizio dei due cannoneggiamenti su San Miniato, ricordati anche dai testimoni, le coordinate di tiro e il numero dei proiettili sparati. Secondo: leggendo l’annotazione del 23 luglio si può comprendere come essa sia chiara nella sua esposizione seppure sintetica. Si legge, infatti, che i partigiani samminiatesi dicono agli americani che “qualcuno, ieri, ha sparato nella zona di San Miniato e ha colpito una chiesa”. Ora, anche se non fossimo a conoscenza che a sparare furono gli obici statunitensi, salta agli occhi che, se i partigiani avessero saputo che a colpire erano stati i mortai o gli obici tedeschi, la cosa sarebbe stata riportata in maniera chiara agli americani i quali non si sarebbero certo perduta l’occasione di annotare un altro crimine tedesco nei loro documenti. L’annotazione prosegue con “ I feriti sono stati trasportati all’ospedale non ci sparate sopra”. Altra palese ammissione che gli americani furono da subito consci di aver preso la chiesa. Infatti, in questo passo è come se avessero scritto “abbiamo fatto una fesseria ieri, badiamo di non ripeterla con l’ospedale”.

Claudio Biscarini: Storia militare, troppi ne parlano, pochi la conoscono.

foto n. 1: un motociclista tedesco a Piazzale Michelangelo, fonte Bundesarchiv

Quella branca dello studio della storia che definiamo “militare”, molto accreditata all’estero, in Italia ha pochi, valorosi adepti. Tanti che si classificano come “storici militari” in realtà mescolano abilmente politica e cognizioni militari di cui, molto spesso, hanno solo un minimo sentore. Certo che “la guerra è la politica che continua con altri mezzi” (oggi si può fare questo parallelo riferendosi all’economia) e quindi fare storia militare senza affrontare anche problemi politici non è del tutto possibile. Sacrificare, però, alla politica problemi di stretta valenza militare e fuorviante per capire cosa avvenne in un determinato luogo in una determinata data. Alla fine, pur con tutte le risultanze politiche che si vuole, è sul campo di battaglia che si decide tutto. Uno dei classici esempi di come la storia militare tout cout, ripeto molto studiata all’estero specialmente negli Stati Uniti, in Francia e nei paesi del Commonwealth britannico, è la campagna d’Italia e il ruolo del soldato tedesco rispetto ai corrispettivi militari avversari. Molto inchiostro è stato scritto sulla disgraziata campagna che vide protagonista la nostra penisola e, spesso, è stato inchiostro buttato. Lo stesso dicasi per la figura del soldato tedesco che fu oggetto, per quanto ci riguarda, di uno studio ad hoc per la rivista francese 2é Guerre Mondiale di anni fa.

Claudio Biscarini: Piste

C'era una volta una città dove, da quando è stato inventato il velocipede, ha sempre visto nel mezzo a due ruote un veicolo di trasporto e di divertimento. Poi, questo mezzo, è stato adottato in tante città di pianura europee…

Claudio Biscarini: 4 giugno 1944: Roma libera. Giochiamo con un’ucronia. Se Clark fosse stato Kesselring e viceversa

Durante una recente presentazione di un mio volume, da parte di alcune persone del gentile pubblico presente si è equivocato sul fatto che sia il sottoscritto che il presentatore avessero giudicato il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante delle forze tedesche in Italia durante l’ultima guerra, al di là delle sue colpe morali, uno dei generali migliori che ci siano stati sul teatro di guerra della Penisola, assolutamente superiore per visione tattico-strategica ai suoi avversari.

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Il generale Mark Clark in Piazza San Pietro a Roma il 5 giugno 1944

Chi scrive si sentì perfino di affermare che, se al posto del comandante della V armata statunitense e del comandante in capite del XV Gruppo di armate alleate in Italia, generale Harold Alexander ci fosse stato Albert il sorridente, come veniva definito dai suoi, la guerra molto probabilmente sarebbe passata dalla Toscana e da Empoli molto più alla svelta. Ovviamente, la storia non si fa con i se ma proviamo a giocare a creare una ucronia in tal senso: al comando delle truppe alleate c’è Kesselring che combatte contro i tedeschi guidati dal duo Alexander/Clark.

Claudio Biscarini: Vennero da molto lontano

Il tenente colonnello Arapeta Marukitepua Pitapitanuiarangi Awatere (25 aprile 1910-6 marzo 1976), comandante del 28° battaglione Maori.

 
Spesso, avvicinandosi le date della liberazione dei vari paesi e città d’Italia, ci sono contrasti su coloro che effettivamente scacciarono le truppe tedesche dai centri abitati. Nella vulgata tradizionale sono quasi sempre gli americani coloro i quali fecero scappare a gambe levate i soldati di Hitler. Nella realtà dei fatti, a parte che molte poche volte i militari delle divisioni di Kesselring se ne andarono di volata, gli statunitensi non furono onnipresenti e divisero l’onore, e l’onere, di aver combattuto in Italia con soldati di altre nazioni alcune anche molto lontane geograficamente dai luoghi che contribuirono a far tornare alla normalità della pace. Per quanto riguarda Empoli, sappiamo che agirono nella zona truppe indiane, inglesi, americane, sudafricane, canadesi. Ma chi materialmente conquistò la città furono i Kiwis, ovvero i soldati dei battaglioni della 2. Divisione Neozelandese comandata da sir Bernard Freyberg. Strani soldati i neozelandesi. Amavano il saccheggio, specie nei negozi di cappelli civili. A Tavarnelle Val di Pesa rubarono un intero magazzino di fisarmoniche che dovettero abbandonare poco dopo. A San Casciano Val di Pesa si impadronirono della cassaforte di una banca a colpi di mine. Ma erano anche i soldati che avevano combattuto strada per strada nelle macerie di Cassino e sulle pendici del Monte dell’Abbazia. Quando gli indiani e i canadesi arrivarono in vista di Empoli dalle colline di Cerbaiola, la città chiusa nelle vie del Giro, Monte Albano alle spalle gli ricordarono la cittadina laziale che era costata tanti morti. Non vi entrarono ma l’aggirarono da ovest e da est, dalla Bastia e Osteria Bianca e da Fibbiana. I Kiwis no: Erano abituati a combattere tra le strade, le macerie, le case e penetrarono in centro a Empoli. Combatterono per tre giorni e, alla fine, ripulirono il centro spingendosi fino all’Arno. Tra di loro un battaglione aveva un che di esotico: il 28° Maori che colpì la fantasia di Luigi Testaferrata il quale lo ricordò nel suo romanzo “I cenci e la vittoria”. Non hanno mai avuto riconoscimenti ufficiali da parte delle amministrazioni comunali cittadine i ragazzi della Nuova Zelanda per quello che fecero nell’agosto 1944. Il Comune di Tavarnelle Val di Pesa, per iniziativa dell’ex sindaco Stefano Fusi, oggi membro del Consiglio Provinciale, gli ha dedicato cerimonie al Cimitero del Commonwealth ai Falciani di Firenze, dove sono sepolti i caduti neozelandesi assieme ad altri di diverse nazioni, due libri di cui uno tradotto anche in inglese e pubblicato in Nuova Zelanda e un monumento nel centro della città dove sono riportati i nomi dei soldati di Freyberg deceduti nella liberazione del territorio comunale. Il Comune di Scandicci patrocinò, assieme all’Associazione Combattenti della città, un monumento-ricordo in località San Michele a Torri, dove si è combattuta una delle più aspre battaglie della seconda guerra mondiale in Toscana, con una iscrizione in tre lingue, italiano, inglese e maori.

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