Sullo scorcio del Settecento, mentre in Francia imperversava la grande rivoluzione, Empoli si mostrò sempre ostile alle novità d’Oltralpe.
Tommaso Mazzoni per Renato Fucini…
UNO DEI MIEI IDOLI
Uno dei Grandi, che è stato anche uno degli idoli della mia gioventù, è certamente il novelliere, poeta e scrittore Renato Fucini.
Di “Renati”, per il vero, ce ne sarebbero diversi, da doversi ricordare. Ma, intendendo di parlare di lui per la ragione suddetta, ne debbo tralasciare, seppure a malincuore, numerosi altri, fra i tanti sapienti di cui mi sono interessato fin da bambino.
Lo pseudonimo da lui usato, ricavato da un anagramma del suo nome e cognome era, ed è, Neri Tanfucio, impiegato fra l’altro dal Fucini stesso, come ben si capisce, nei «Cento Sonetti in Vernacolo Pisano di Neri Tanfucio» e in «Le Veglie di Neri».
Avendo avuto la graditissima richiesta dall’amico Aldo Busoni della Pro Loco di Empoli di reperire i nomi di alcuni amici ritratti su di una vecchia foto in cui anch’io compaio, ho buttato all’aria ancora una volta le mie vecchie carte, per una migliore documentazione sulla antica Filodrammatica Tommaso Salvini, di cui anch’io facevo parte.
E così m’è successo come quando si cerca una parola sul vocabolario e se ne trovano altre di altrettanto interesse: dalle mie antiche scartoffie mi sono balzati agli occhi, fra i tantissimi ricordi, alcuni ritagli di quotidiani in cui, fra l’altro, vi si trovava un mio modesto contributo fornito a un giornale di cui poi vi dirò, e che riguarda appunto questo da me amato scrittore.
Renato Fucini a Dianella
A questo punto, al dispiacere di dover tralasciare i diversi nomi importanti relativi agli omonimi fuciniani, ossia i diversi altri “Renati”, s’è aggiunto anche il rammarico di non potermi soffermare a dire almeno qualcosa della altrettanto meritoria Pro Loco, ovvero l’Associazione Turistica Pro Loco di Empoli.
Volendo procedere con un certo ordine, almeno per ciò che può riguardare la mia epoca, comincio da quando si svolsero i solenni festeggiamenti in onore di Renato Fucini (1843-1921) per il centenario della nascita, ossia – il conto è presto fatto – dal 1943, ben sessantaquattro anni fa!
In un giorno della primavera dell’aprile 1943, come accennato, ci incamminavamo, assieme a numerose scolaresche da Empoli verso Dianella, che si trova sul colle di Campocollese non molto fuori dalla Frazione di Sovigliana di Vinci (un tempo abitata dai Federighi, gli stessi poi emigrati a Firenze), Sovigliana, dicevo, che fa ora corpo con la vicina Frazione di Spicchio, assumendo in tal modo il nome collettivo di Spicchio-Sovigliana.
A quei tempi, fra le mie attività, appartenevo, suonandovi il clarinetto (in SI bemolle), anche alla Fanfara della G.I.L. empolese, che aveva preso appunto il nome dalla Gioventù Italiana del Littorio.
Si capisce bene, in tal modo, che eravamo in pieno regime fascista e, altrettanto sciaguratamente, ci trovavamo in piena guerra mondiale – la seconda guerra mondiale -, iniziata per noi italiani il 10 giugno del 1940, e che finirà formalmente solo con l’armistizio di Cassibile (località che si trova in provincia di Siracusa), grazie a un giorno tanto atteso, e famoso, che poi sarà appunto l’8 settembre del 1943.
Ma qui sono costretto ad omettere altri numerosi particolari, perché non pertinenti al nostro discorso principale.
Dianella era la mèta delle celebrazioni fuciniane, in uno con Empoli (Città in cui Renato Fucini abitò e di cui la Biblioteca Comunale, dal 1959, e una delle principali Vie dov’è la casa del Fucini ne riportano tuttora il Nome), Vinci (al cui Comune Dianella appartiene), e Monterotondo Marittimo in Provincia di Grosseto (il luogo nel quale il nostro ameno, eppur serio novelliere, poeta e scrittore, ebbe i natali).
Raggiungemmo Dianella, come accennavo, per rendere omaggio al Fucini, presso la sua tomba.
Il lungo corteo dei presenti rientrò poi, ciascuno alle rispettive case, ma serbando in ognuno di noi, ne sono certo, la propria non sterile impressione.
Giornali dell’epoca rievocano le Manifestazioni in modo adeguato, meritoriamente. Uno di questi – di cui purtroppo non annotai il nome della testata – così scrive fra l’altro:
“Monterotondo, 8 notte” (Era l’aprile dell’anno 1943, come già sappiamo).
“Dal tempo in cui Renato Fucini venne festosamente accolto al suo paese natìo dove egli tornava per la prima volta, con commozione e ansietà, dai lontanissimi giorni della sua infanzia, Monterotondo, il pittoresco e industrioso paese maremmano affacciato sui colli che guardano il mare lontano dell’Elba, si appresta oggi a rendere sincero e fervido omaggio al suo poeta che compie cento anni. Egli torna nella memoria e nel cuore di tutti i buoni e laboriosi monterotondini, accompagnato dal pensiero dell’Italia cólta e non cólta che, unanimamente, lo sente e lo decreta ancor vivo accanto alle figure delle sue Veglie e allo spirito di quelli che egli chiama i suoi Scarabocchi. […] tutti che lo conobbero o lessero le sue cose si uniscono di buon animo a rendere questo caro e legittimo omaggio alla memoria e alla sempre verde fama del poeta, modesto fra i modesti, nella pace della sua Dianella”.
L’articolo continua, descrivendo i nomi delle Autorità civili e religiose dell’epoca, precisando che, trattandosi di un avvenimento a carattere nazionale, era presente anche il Ministro dell’educazione, accompagnato da un folto séguito di personalità della cultura, fra cui Piero Bargellini, il quale “prende la parola tracciando, con molto garbo e sobrietà un profilo completo del poeta e della sua arte”.
Il medesimo quotidiano, appena più avanti, riporta, sotto il riferimento di “Vinci, 8 notte”, un articolo riguardante la «Celebrazione a Vinci» tenuta da Luigi Pescetti.
Naturalmente, anche in questo vi sono le diverse citazioni delle personalità presenti “provenienti da ogni parte della Toscana e d’Italia”, tra cui il Presidente della R. Accademia delle Belle Arti di Firenze, il pittore e caricaturista Enrico Sacchetti, 1877-1967 (di cui non posso fare a meno di non ricordare il quadro reclamizzante il Bitter Campari; del 1921), il Professor Luigi Russo e le numerose autorità politiche e scolastiche dei comuni di Vinci e di Empoli.
“Nella mattinata – prosegue l’articolista – gran folla d’invitati si era dato convegno nella villa di Mercatale, ospiti dell’Ing. Ugo Fucini e di donna Rita Fucini, figlia di Renato, e del prof. Enzo Fucini del R. Liceo Artistico di Firenze, nipote del Grande Scomparso”.
“Nel pomeriggio, nella bella e festante cittadina di Vinci, tutta pavesata a festa, si è dapprima proceduto alla inaugurazione della lapide sulla casa dove il padre di Renato, dott. David Fucini, carbonaro e mazziniano, si ritirò nel 1853 per sfuggire alle persecuzioni del governo granducale e dove il giovane Renato passò lunghi anni e sempre ritornò con grande sollievo del corpo e dello spirito.
Erano presenti allo scoprimento dell’epigrafe reparti della G.I.L. e gli alunni delle scuole di Vinci e di Empoli, nonché una fitta rappresentanza di alunni del R. Liceo Artistico di Firenze.
Poi, nel teatro di Vinci gremito di pubblico ha avuto luogo la solenne commemorazione di Renato Fucini. L’oratore designato dal Comitato, Luigi Pescetti, ha parlato a lungo intrattenendosi dapprima sui tempi e sui luoghi in cui ebbe a svolgersi la fanciullezza del Fucini e la prima sua giovinezza. La Toscana granducale, le cospirazioni dei carbonari e dei liberali, l’attività patriottica e umanitaria di David Fucini, medico degli affetti di febbri malariche in Maremma (compagno ed amico di Michele Carducci, padre del grande Giosuè), le prime impressioni e manifestazioni del ragazzo, a Massa Marittima, a Livorno, a Vinci: tutto ciò è stato sapientemente e argutamente delineato dalla calda parola dell’oratore […]”.
Per fortuna, a un altro ritaglio di giornale da me conservato, questa volta almeno ho lasciato il nome della testata, “Il Telegrafo”, con la data e tutto, ossia “Venerdì 9 Aprile 1943 Anno XXI”. Per il precedente articolo del mio anonimo ritaglio, mi scuserete.
Da notarsi che il XXI fu l’ultimo anno della cosiddetta èra fascista, data la caduta del fascismo, che avvenne appunto il 25 luglio 1943.
Anche da questo ritaglio traggo passi alquanti interessanti, che qui pertanto riporto per i miei (certo pochissimi) lettori interessati a questo per me affascinante argomento. Ho ritenuto di trascriverne anche questo significativo incipit:
“Con austera cerimonia, come impone l‘ora che volge, è stato rievocato ieri, presenti tutte le Autorità e le scolaresche, il centenario della nascita di Renato Fucini, che fu prosatore e poeta non dubbio, così da avere un suo posto particolare nella storia della letteratura italiana.
La nostra terra, che egli predilesse ed amò, ove ebbe tanti ammiratori ed amici e dove spirò fra l’universale compianto, tributerà a suo tempo all’illustre Poeta memori onoranze […]”.
“Ieri mattina intanto, centenario della nascita, insegnanti, scolaresche, autorità e popolo si recavano in corteo per rendere omaggio alla casa dove Neri Tanfucio visse per vari anni e dove serenamente si spense. Secondo le disposizioni impartite alle ore 8,45 aveva luogo in via Leonardo da Vinci l’adunata degli Istituti”.
“Alle ore 9 si muoveva il corteo che era aperto dalla Fanfara della G.I.L. […]”.
Questo particolare, questa riga l’ho riportata perché nella Fanfara vi ero anch’io, come già sapevate; ma oltre a questo volevo anche aggiungere che, quando la Fanfara della GIL non era attiva, “militavo” pure nel manipolo dei “Balilla moschettieri”… il clima purtroppo era quello.
Non potete immaginarvi, giovani di oggi, cosa possa mai significare essere liberi. La milizia di quei tempi non perdonava, e non potevamo esimerci o fare di testa nostra. Godetela, questa libertà, ma usate anche tutte le cautele necessarie: le insidie potrebbero sempre ricomparire. Sappiatelo!
Ma torniamo al nostro Fucini, che non mi sento certo di usare a pretesto, come potrebbe invece apparire se indugiassi su certi argomenti scottanti, il cui ricordo mi accompagnerà tuttavia per sempre.
Da questo secondo trafiletto de “Il Telegrafo”, mi piace riportare anche quanto segue:
“Ricordato poi come il Fucini sia stato in Empoli Ispettore Scolastico, l’oratore (il Cav. Uff. Prof. Dott. Giuseppe Moriconi, l’allora Preside del R. Ginnasio “Renato Fucini” di Empoli [n.d.r.]), ha chiuso il suo dire appassionatissimo dicendo che il Fucini è nume tutelare di questa città industriosa: qui volle riposare in pace e dal colle di Dianella una fiaccola arde ancora ed una voce paterna ci grida ancora: siate onesti, siate galantuomini, amate e servite la Patria”.
“La chiusa vibrantissima – prosegue l’articolista – veniva salutata con vive acclamazioni. Dopo il segnale di attenti era deposta una corona di lauro, a nome della città di Empoli, sulla lapide posta sulla casa dove visse per diversi anni; quindi veniva ordinato il Saluto al Re e il Saluto al Duce. Le scolaresche facevano poi ritorno ai rispettivi istituti.
Autorità e Gerarchie nel pomeriggio si recavano a Vinci per prender parte alla celebrazione svoltasi in quel Comune. Intervenivano pure rappresentanze delle scuole medie cittadine e la fanfara della G.I.L.”.
Amo far presente anche che, salvo se in altre occasioni di cui non fossi a conoscenza, dalla Biblioteca Comunale Renato Fucini della mia Città, fu organizzato un Seminario, qui a Empoli, al fine di onorare Renato Fucini. La cerimonia avvenne sabato 3 Marzo 2001 in occasione dell’ottantesimo anno della morte del Poeta. Si ricordò, fra l’altro, che qui a Empoli il Fucini vi trascorse gli anni dell’adolescenza e in cui fece ritorno negli ultimi anni della sua esistenza.
Importanti le personalità presenti, intervenute anche in questa circostanza per onorare il Fucini. Da un punto di vista culturale desidero qui porre in evidenza Elisabetta Bacchereti, Giovanni Lombardi, Carlo Mariani, Cristiano Mazzanti, i quali si sono rivelati davvero profondi conoscitori del nostro autentico genio toscano.
La Biblioteca Comunale della mia Città conserva, nei fondi storici, alcune prime edizioni fuciniane, mentre nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, in cui il nostro Fucini fu peraltro bibliotecario, vi si possono osservare certi suoi manoscritti.
Accennavo più sopra a un mio contributo fornito a un giornale.
Dette le cose più importanti, aggiungo ora il particolare che mi riguarda da vicino, che risale all’anno 1977.
La nota Società Ernesto Solvay & Cie, pubblicava una simpatica Rivista intitolata Solvaynotizie (pron. Solvènotizie). Una volta vi lessi un articolo che riguardava Renato Fucini e mi sentii di far pervenire ai Redattori il mio apprezzamento.
Sul numero 8 Anno II dell’Agosto 1977, con il titolo “Quando il Fucini veniva a Castiglioncello Rosignano Solvay non c’era ancora” vi si poteva pure leggere:
“Renato Fucini, scrittore (e poeta) tutto toscano trova posto su questo giornale perché è stato ricordato, in questa estate, nel paese che è più vicino a Rosignano, nel quale veniva spesso prima che Rosignano cominciasse a essere costruito intorno allo stabilimento Solvay. Si vuol dire, insomma, che questi sono ricordi vicini, nello spazio: siamo a pochi chilometri, nello stesso comune, a Castiglioncello; ma lontani nel tempo: siamo tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo.
È come andare a cercare un passato ancora più passato di quello che di solito si ricorda quando si vogliono descrivere gli inizi di Rosignano Solvay: ecco che cosa c’era prima, e quale mondo esisteva già da queste parti, con un suo carattere già preciso, poi sviluppato nel tempo.
Ricordare Renato Fucini consente un’altra considerazione: lo scrittore toscano è stato tra i primi a scoprire le virtù turistiche di Castiglioncello, poi definitivamente affermate […].
Per ricordare Renato Fucini, Castiglioncello ha fatto cercare cimeli, oggetti, autografi, non solo dello scrittore ma anche dell’epoca culturale in cui è vissuto. Perché un uomo appartiene sempre al suo tempo. Poi ha cercato uomini di cultura, perché parlassero di questo Fucini e di questo suo tempo, visti anche con l’esperienza di oggi: Marcello Vannucci, scrittore e saggista fiorentino, Cosimo Ceccuti storico, Augusto Cesati bibliofilo, Giorgio Saviane scrittore.
Dopo aver frugato nella vita e nel modo di scrivere del Fucini, questo gruppo, questo gruppo di uomini di cultura ha tenuto conferenze, dibattiti, tavole rotonde […].
Seguono le descrizioni,sempre su Solvaynotizie, sulla vita, le opere nonché una puntuale bibliografia.
Nella rubrica “Ci scrivono”, nel numero 10 Anno II dell’ottobre del 1977, su Solvaynotizie apparve il mio articolo, che avevo loro scritto in data 8 Settembre 1977. Ve ne riporto il testo, così come pubblicato, se non altro per mia soddisfazione:
“Ho letto con rinnovato piacere l’edizione di agosto di “Solvaynotizie” e sento il dovere di ringraziarvi, quale ammiratore di Renato Fucini, per quanto avete scritto e per il modo con cui avete ricordato questo nostro grande toscano.
“Avete fatto bene a ricordare anche la lodevole iniziativa dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Castiglioncello.
“Anch’io, come fui presente alcuni mesi or sono a Empoli all’autorevole, intelligente e alta disquisizione di Piero Bargellini su Renato Fucini, sono stato presente nel luglio scorso, non senza punte di viva commozione, alla manifestazione fuciniana di Castiglioncello.
“È un empolese che vi scrive e che vive abbastanza vicino – appena di là dell’Arno – alla stessa Dianella che ospitò, come ospitò Castiglioncello, il Fucini in quei lontani anni.
“Come a Dianella il Fucini ha lavorato nello “studianaio (la sua stanza da lavoro, mezzo studio e mezzo granaio), così è venuto a ricrearsi per tanti anni, e non soltanto a ricrearsi, nella sua “cuccetta” di Castiglioncello.
“E per l’amore che nutro verso il grande Fucini e per le affinità che, almeno in questo caso, legano Empoli a Rosignano (Empoli è vicina a Dianella come Rosignano a Castiglioncello), lasciate che vi giunga il commento del lettore.
“Solvaynotizie, oltre a portarmi note e commenti che riguardano il luogo di origine di mia moglie, ha saputo suscitare sentimenti di simpatia e di stima verso coloro che, come voi, hanno dedicato un così ampio spazio a Renato Fucini, scrittore e poeta altrove forse considerato non come il più dotto, ma da me sicuramente il più amato.
“Vivissimi complimenti e auguri. Tommaso Mazzoni.
In data 19 Settembre, il Direttore di Solvaynotizie, Dott. Antonio Pacella, volle anche farmi pervenire, anche a nome del citato periodico, le seguenti righe, che vi trascrivo:
“Ci ha fatto piacere la Sua gentile lettera.
“Solvaynotizie ha voluto rendere omaggio al Fucini in modo schietto e semplice e Lei ha compreso ed apprezzato questo atteggiamento.
“La ringrazio per l’apprezzamento sull’attività del nostro periodico.
“La salutiamo sentitamente. Il Direttore Antonio Pacella.
Ora però, dopo tutto ciò che di mio ho riportato, al fine di parlare di Renato Fucini in un modo certo assai più qualificato di quello non che possa aver fatto io, lascio dire qualcosa, di ciò che Edmondo De Amicis (1846-1908) ha pensato del nostro Fucini. Aggiungo solo che lo scrittore di Oneglia conobbe il nostro Fucini a Firenze, essendovisi recato per servizio, ed anche perché, fra l’altro, vi svolse la mansione di inviato del giornale La Nazione di Firenze, appunto.
Di De Amicis ho pertanto estratto un paio di passi del suo dire, giusto al riguardo del Fucini:
«[…] Il Fucini aveva ventisette anni, era nato a Monterotondo nella maremma toscana, era vissuto qualche tempo a Livorno, a Empoli, a Vinci, a Firenze, aveva studiato a Pisa; non aveva mai scritto altro che versi molto liberi, per rallegrare le ribotte degli amici bontemponi, né s’era mai accorto d’esser poeta, e si maravigliava molto di sentirsi dire che lo era. Siccome era allora ingegnere del Municipio di Firenze, lo vedevo sovente per le vie della città in mezzo a una turba di muratori e di scalpellini, e aveva quasi sempre sotto il braccio il disegno d’una casa o uno scartafaccio pieno di cifre. Faceva i suoi sonetti a ore perdute, alla lesta, perché non aveva tempo da perdere. Se non gli riuscivano in venti minuti, li lasciava andare. Concetto, dialogo, verso, tutto gli balzava fuori dalla testa fuso ed intiero, con un solo sforzo, quasi istantaneo, dell’ingegno. Pigliava la penna quando smetteva il compasso, e misurava versi quando era stanco di misurare angoli […]».
Sempre Edmondo De Amicis – e chi per lui – ci fa conoscere ancor meglio Renato Fucini con le altre seguenti parole:
«[…] E mi ricordo che una sera il Fucini era assediato da un drappello di questi maestri, consiglieri e monitori dell’ingegno, i quali gl’intronavan la testa, quando balzò improvvisamente nel crocchio un letterato veramente insigne, al quale converrebbero i titoli di volteriano dell’arte e di miscredente delle scuole, dati da lui stesso al Manzoni; e parlò al poeta in questa maniera:
“Non dia retta alle chiacchiere di tutti questi signori. Ha imparato a fare da sé, continui a far da sé. Si chiuda nel suo piccolo mondo, nel suo modo di vedere, di sentire e di esprimere, e non vi lasci entrare i guastamestieri. Non faccia il sordo alla critica; ma badi che volendo strappare un difetto che importa poco, è facile portar via una buona qualità che importa molto. Guai se si lascia pigliare dalle paure e dagli scrupoli. Continui ad aver fiducia in sé stesso, la quale è nell’arte ciò che è in guerra il coraggio, senza cui la scienza e la disciplina sono un’elsa senza lama. Ella lavora sul suo, è in casa sua: corra, salti, strepiti, si sbizzarrisca, faccia da padrone. Ha cominciato a scrivere per piacer suo: per carità, non pensi al pubblico, alla letteratura, al suo avvenire, continui a scrivere con la testa libera e con il cuore tranquillo. Ella possiede un tesoro; lo difenda con le mani e coi denti. Se l’ispirazione le continua per quel verso, scriva diecimila sonetti e lasci gridare i seccatori. Infine studi; ma si ricordi che i suoi sonetti ha imparato a farli per la strada. Segua il suo genio, stia in mezzo al popolo, e fugga i letterati come la rogna”».
Ritengo, però, che una certa forzatura, nel “letterato veramente insigne”, vi sia stata: certe regole elementari occorrono, e il Fucini, del resto, penso le possedesse.
In quanto a rivedere i lavori, be’, un senso alquanto fondato lo troverei nelle parole di Delacroix (Ferdinand Victor Eugène Delacroix, 1798-1863), il quale afferna, a proposito delle correzioni, che “Due cose l’esperienza deve insegnare: la prima, che bisogna correggere molto; la seconda, che non bisogna correggere troppo”. Dove fra il troppo è il molto a volte potrebbe esserci davvero un abisso.
Come appare chiaro – Delacroix d’altra parte è un pittore -, ritoccare alquanto decisamente (i pentimenti degli artisti) è una cosa, rifare è davvero tutta un’altra cosa.
Quando una vena, l’ispirazione, sgorga spontanea come accadeva al Fucini, sfido io che l’iniziale stesura non doveva essere ritoccata. Il rischio che avrebbe potuto fare qualche pasticcetto perdendo così di freschezza sarebbe stato più che fondato; particolarità che non era sfuggita nemmeno agli scrittori Oscar Wilde (1854-1900) ed Erich Maria Remarque (1898-1970).
Wilde pensa: «Sono contrario a tutto ciò che compromette l’ignoranza naturale. L’ignoranza è come un delicato frutto esotico: toccalo, e ne viene meno la freschezza». Mentre Erich Maria Remarque afferma: “Mio padre, ch’era un brav’uomo, mi diceva: “Non perdere la tua ignoranza, non potrai mai sostituirla”.
Empoli, domenica 15 aprile 2007 23:57.
Per gentile concessione a pubblicare.
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