La FAMIGLIA GUIDUCCI era titolare di alcuni possedimenti nella Terra d’Empoli, in particolare possedettero un Palazzo in Via…
Il Pontormo a Poggio a Caiano: Vertumno e Pomona – Silvano Salvadori
VERTUMNO E POMONA
Un muro chiude il pomario della ninfa Pomona che tutti vorrebbero amare ma che resiste ad ogni lusinga, salvo piegarsi all’astuzia di Vertumno. Mentre nel salone il programma elaborato da Paolo Giovio presenta episodi della storia romana adombranti le vicende della casa medicea, sulla parete di destra Jacopo illustrò un particolare tema dell’otium ripreso dalle Metamorfosi di Ovidio XIV, (622-697 e 765-769), tema comunque appropriato all’abitare una villa in campagna.
In alto si legge l’iscrizione (STUDIUM QUIBUS ARVA TUERI) tratta dalle Georgiche di Virgilio (1, 21), dove vengono invocati gli dei e le dee protettori dei campi: DIIQUE DEAEQUE OMNES, STUDIUM QUIBUS ARVA TUERI.
Il rinnovarsi delle stagioni è come il rinnovarsi della casata medicea, così dal broncone di alloro (caro a Lorenzo e che già Jacopo ha inserito nel ritratto di Cosimo) si generano nuovi rami l’attuale dei quali vede la solarità trionfante di un papa Medici, Leone X, che purtroppo morirà nel 1521 durante questi lavori del Pontormo.
Potremmo supporre che alla classicità della parete principale, questa di Jacopo si contrapponga privilegiandovi quell’idioma “volgare” che lo stesso Giovio spesso usava. E “toscano” in maniera particolare è il tema che vi si tratta: Vertumno infatti è una divinità etrusca (Tuscus ego Tuscis orior: io etrusco nasco da etruschi- Propezio, Elegie libro IV) che presiedeva al mutamento stagionale e alla maturazione dei frutti. Gli si attribuiva la facoltà di mutare e trasformarsi in tutte le forme che voleva. Il suo nome deriva dalla stessa radice indoeuropea del verbo latino vertere (girare, cambiare; sanscrito: vártate) con le sue varie derivazioni in italiano: divertimento, perversione, verso etc. Riportiamo la divertente storia da Ovidio:
Metamorfosi XIV, 622-694
Già Proca governava il popolo del Palatino;
e sotto questo re ci fu Pomona, amadriade
di cui nessuna coltivava con più zelo l’orto,
625 nessuna era più appassionata delle piante da frutto:
di qui il suo nome. Non le piacciono campagne e fiumi,
ama la campagna e i rami carichi di frutti. Non porta
nella destra un giavellotto, ma una falce adunca,
con cui controlla la vegetazione, e spunta i rami
630 che s’intralciano tra loro, compie gli innesti incidendo
la corteccia, e offre la linfa a piante estranee.
Non le lascia soffrire la sete; con rivoli d’acqua
irriga le fibre ricurve della radice porosa.
Qui è tutta la sua passione, dell’amore non ha desiderio.
635 Temendo la violenza dei contadini, richiude
i frutteti, e tiene lontani gli approcci dei maschi.
Che cosa non fecero i satiri, gioventù esperta
nel ballo, i Pan con le corna cinte di fronde di pino,
Silvano, sempre più giovane dei suoi anni,
640 e il dio che spaventa i ladri col membro o con la falce,
per possederla? Ma tutti li superava in amore
Vertumno, e tuttavia non aveva più fortuna degli altri.
Quante volte, nelle vesti di un rustico mietitore,
portò un cesto di spighe, ed era il ritratto autentico del mietitore!
645 Spesso, con le tempie fasciate di fieno,
dava l’impressione di avere falciato l’erba;
spesso portava in mano un pungolo, e avresti giurato
che aveva appena staccato i giovenchi sfiniti;
con una falce, era un potatore di viti,
650 con una scala, avresti pensato che andava a raccogliere
pomi, con la spada diventava un soldato, e con la canna
un pescatore. Con tutti questi travestimenti trovava
il modo di avvicinarla e godersi lo spettacolo della bellezza.
Mettendosi in testa una benda colorata, appoggiandosi
655 a un bastone, sistemandosi una parrucca bianca,
si travestì da vecchia ed entrò nell’orto ben coltivato,
e ammirò i pomi. “Quanto sei brava!”, le disse;
e lodandola molto, le dava baci che una vecchia vera
non avrebbe mai dato, e sedette ingobbito
660 per terra, guardando i rami curvati dal peso.
C’era di fronte un olmo adorno di splendida uva;
lo lodò insieme alla vite compagna, ma aggiunse:
“Se questo tronco stesse là celibe, senza tralci
di vite, non avrebbe che il fascino delle sue fronde;
665 e anche la vite, che nell’abbraccio dell’olmo riposa,
se non fosse sposata giacerebbe riversa per terra.
Te però non ti tocca l’esempio di quest’albero: fuggi
il matrimonio e non ti dai cura di accoppiarti.
Se lo volessi! Avresti più pretendenti di Elena,
670 e di quella che provocò la guerra dei Lapiti,
della moglie dell’audace Ulisse.
Anche adesso che i pretendenti li sfuggi e respingi,
in mille ti desiderano, uomini e semidei,
e dei e geni che abitano i monti Albani.
675 Ma tu se sei saggia e vuoi fare un buon matrimonio,
se vuoi dar retta a questa vecchia che ti ama
più di tutti, più che non credi, respingi le nozze volgari
e prenditi Vertumno per compagno di letto!
Su di lui prendi me per garante, che lo conosco
680 come lui conosce se stesso. Lui non vagabonda per tutto il mondo,
ama queste ampie campagne, non fa come fanno la maggior parte
dei pretendenti, che amano quella che hanno appena vista;
tu sarai il suo primo e ultimo amore, a te sola
dedicherà i suoi anni. Aggiungi che è giovane e ha il dono
685 naturale della bellezza, sa assumere tutti gli aspetti:
diventerà quello che gli ordini, e puoi ordinargli di tutto.
E poi avete le stesse passioni, se tu coltivi
i frutti, lui li riceve per primo e nella mano lieta
tiene i tuoi doni, ma adesso non cerca più i frutti degli alberi
690 né i succhi benigni delle verdure dell’orto,
non desidera altro che te. Abbi misericordia
del suo amore, fa’ conto che sia lui stesso a pregarti.
Temi gli dei vendicatori, la signora dell’Idalio che odia
i cuori duri e l’ira tenace di Nemesi di Ramnunte”.
Vertumno, vecchio con il cesto, e Pomona, con la falce (adunca dextera falce –Ovidio; qui più un seghetto per la potatura) sono ai due estremi? Ma questa individuazione non convince appieno.
Varie invece sono le interpretazioni degli altri personaggi sul cornicione. Il giovane e la donna vista di spalle potrebbero anche essere le altre versioni di Vertumno e l’espressione furbesca di quest’ultima potrebbe rappresentare l’ultimo suo travestimento.
Alcuni suggeriscono che i quattro personaggi in basso rappresenterebbero il trascorrere delle stagioni: Vertumno-Inverno, Pomona-Primavera, mentre il giovane seduto sul muro sarebbe Apollo-sole e l’altra donna Diana-luna.
Secondo altri, ed è la versione che preferiamo, Vertumno sarebbe il giovane nudo attaccato al ramo e Pomona colei che le corrisponde dall’altra parte; così i fanciulli reggerebbero i frutti della loro unione amorosa, permessa quasi dalla linfa dei rami che afferrano, mentre in basso i contadini attendono di compiere il loro lavoro.
Al nudo del supposto Vertumno non è estraneo il Giona della volta della Sistina che si spenzola indietro con le gambe protese in avanti, quasi coincidente col nostro, eccetto che nel braccio alzato che invece ritroviamo nel vicino ignudo a lato del Diluvio Universale; comune è anche l’idea di impostare le figure su un cornicione.
Un altro richiamo è possibile sempre farlo all’amato Michelangelo: poteva un pittore come Jacopo vedendo quell’occhio di finestra, tormento del suo progetto compositivo, non aver nella mente il Tondo Doni? E non son quasi i nudi, lì nello sfondo arcaico, qui proiettati in una sorta di continuazione pagana?
Come si vede l’interpretazione iconografica è ardua e allora?
Jacopo trovò in questa elegia della vita agreste un momento di pace, senza santi o Madonne da rappresentare. Una adesione alla vita concreta fatta di contadini abbronzati dal sole, forse colti dal vero nella campagna del Poggio. I putti finalmente liberi dall’essere piccoli Gesù o Battista brandiscono cartelli e festoni con una pagana vitalità; gli dei verranno nel mondo, scavalcando il muro, per portare i loro doni.
[immagine in evidenza tratta da WikiCommons: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Villa_di_Poggio_a_Caiano,_front_3.JPG?uselang=it
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